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Erano prima questi Seggi al numero di ventinove e venivano con diversi nomi chiamati, come Tocchi, Teatri,

    i Napolitani all’osservanza d’una legge imperiale, onde Leone Isaurico aboliva il culto delle immagini, fu cagione che si movesse a rivoltura tutto il ducato. Il popolo nostro, già caldo adoratore degli idoli, abbracciò la vera Fede del Divin Figliuolo della Vergine Maria, con la speranza di un bene immortale, e d’allora si dimostrò fervorosissimamente devoto verso chiunque potesse impetrargliene il conseguimento da Dio, e intitolando altari alla venerazione de’ Beati del Paradiso, riprodusse in forme non più idolatre, ma sante, i suoi affetti, i quali non è in poter dell’uomo cangiare: perciò in ogni età, serbando incontaminate le norme di sua Religione, si mantenne sempre fedele tra gli scismi e le eresie d’infelicissimi tempi. I Napolitani, tutto che avversi a compiere gli ordini imperiali, vollero che il nuovo lor Vescovo Paolo, tornato dalla consecrazione di Roma, non entrasse in città; così intendevano che ciò sarebbe paruto fedeltà verso gl’Imperatori. Ma i patrizii, avvedutisi che per l’assenza del Pastore la Chiesa languiva, trovaron via che ritornasse alla sua sede, e fu accolto con allegrezza e reverenza universale. Nondimeno Esilarato, postosi di cuore nello scisma dell’Isaurico, insisteva che si piegasse ad obbedienza. Allora il popolo, inalberando le Croci, corse furioso le vie della città, menando seco le donne e i fanciulli, tutti gridando contro gl’imperiali. Nel tumulto cadde ucciso il Duca, e gli animi non si furon ricomposti a pace, che quando ebbe approdato al lido di Napoli, compiendo il comun voto, un ambasciatore all’uopo già inviato a Costantinopoli.
       Dal 728 fino a Stefano I i nostri scrittori vorrebbero che i Duchi Teodoro I, Antimo I, II e III, o l’Esarca d’allora Eutichio, avesser qui governato; ma di loro non ci ha che questo; onde, non essendo lecito entrar in dispute, vogliamo dir brevemente del penultimo Duca del secolo. Questi al 758 fu Stefano, piissimo uomo e di tanta virtù, che, morta la moglie, alla dignità di Console e Duca congiunse quella di Vescovo; ed al reggimento volle per collega il figliuol suo Cesario. Il quale premorì all’amantissimo padre, il cui dolore trovi tutto significato in un marmo della chiesa de’ Minori conventuati in Salerno, ove fu recato, non si sa come,