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spesso sentire ai Tessali nei giuochi crudeli del cesto e del pugilato; e le mie formidabili mani, le mie mani use a sollevare una pesante manopola di ferro che dà la morte, ammollivano sul petto disarmato d’un fantastico nano, come la spugna sbattuta dalla tempesta ai piedi d’un vecchio scoglio che il mare fin dal cominciar de’ secoli percuote senza smuoverlo. Cosi sparisce senza lasciar traccia prima ancora di sfiorare Tostacelo a cui l’approssima un soffio geloso, questo globo di mille colori, giuoco abbagliante e fuggitivo dei fanciulli.
La cicatrice di Polemone versava del sangue e Meroe ebbra di voluttà, alzava, alzava al disopra dell’avido gruppo delle sue compagne il cuore squarciato del soldato che aveva strappato dal suo petto. Ella ne rifiutava, ne disputava i brani alle figlie di Larissa assetate di sangue. Smarra proteggeva col suo rapido volo e co’ suoi fischi minacciosi la spaventevole conquista della regina dei terrori notturni. A mala pena accarezzava egli stesso coll’estremità della proboscide, la cui lunga spirale si svolgeva come una molla, il cuore sanguinante di Polemone per ingannar un momento l’impazienza della sua sete; e Meroe, la bella Meroe sorrideva alla vigilanza e all’amore di lui.
I legami che mi ritenevano avevano ceduto alla fine; e caddi ritto, svegliato, a piè del letto di Polemone, mentre lungi da me fuggivano i demoni e tutte le streghe e tutte le illusioni della notte. Il mio palazzo stesso, le giovani schiave che ne facevano l’ornamento, fortuna passeggiera dei sogni, avevano fatto posto alla tenda d’un guerriero ferito sotto lo mura di Corinto e al corteggio funebre degli ufficiali della morte. I funebri ceri cominciavano ad impallidire davanti ai raggi del sole nascente; e i canti del dolore cominciavano a risuonare sotto le volte sotterranee della tomba. E Polemone... o disperazione! la mia mano tremante domandava invano un debole sollevamento al suo petto. Il suo cuore non batteva più. — Il suo seno era vuoto.