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che passa o, chiamati da qualche dolce profumo di cui essi si nutrono, nei calici delle rose. La nube luminosa passeggia, si culla, riposasi o gira un po’ su sè stessa, e cade tutt’intera sulla cima di un giovane pino che illumina come una piramide consacrata alle feste pubbliche, o alla sbarra inferiore di una gran catena, alla quale dà l’aspetto d una girandola preparata per le veglie della foresta. Quarda come essi giuocano dintorno a te, come fremono nei fiori, come irradiano i riflessi di fuoco sui vasi puliti; questi non sono demoni nemici. Essi danzano, si divertono, hanno l’abbandono e i fragori della follia.
S’essi amano a vote turbare il riposo degli uomini; non è che per soddisfare, come un fanciullo stordito a ridenti capricci. Essi si rotolano, i maliziosi! nel lino arruffato in giro al fuso di una vecchia pastora, intrecciano, imbrogliano i fili smarriti e moltiplicano i nodi opposti sotto gli sforzi della inutile abilita ili lei. Quando un viaggiatore che ha perduto la strada, cerca con avido occhio attraverso l’orizzonte della notte qualche punto luminoso, che gli prometta un asilo, essi per lungo tempo lo fanno andare di sentiero in sentiero, allo splendore d’un fuoco infedele, al rumore d’una voce ingannatrice, o dall’abbaiamento lontano d’un vigile cane che vaga come una sentinella intorno al solitario podere, e abusano così della speranza del povero viaggiatore fino a che tocchi di pietà per la fatica del poveretto gli presentano tutto ad un tratto un alloggio inaspettato, che nessuno aveva mai visto in questo deserto, e a volte anche è stupito di trovare al suo arrivo un focolare scintillante, il cui solo aspetto inspira l’allegria, de’ cibi rari e delicati, di cui il caso ha fornita la capanna del pescatore o del cacciatore di contrabbando e una giovinetta bella come le Grazie, che lo serve, tenendo timorosa gli occhi al suolo, poichè questo straniero le è parso fatale a guardare. L’indomani, sorpreso che un riposo così breve gli abbia ridate le forze, si alza beato al canto della lodoletta che saluta un cielo puro, e ode che il suo errore fortunato gli ha raccorciato il cammino di venti stadi e mezzo; e il suo cavallo nitrendo d’impazienza, colle narici aperte, il pelo lucido, la criniera liscia e splendida, batte il terreno con triplice segnale di partenza. Il folletto balza dalla groppa alla testa del cavallo del viaggiatore, colle sue esili dita stringe l’abbondante criniera, la svolge, la rialza a onde; guarda, s’applaude di ciò che ha fatto e se ne va contento per godersi poi il dispetto di un uomo addormentato che abbrucia di sete, e che vede fuggire, sminuire, svaporare davanti alle sue labbra allungate una rinfrescante bevanda; che scandaglia inutilmente con uno sguardo la coppa; che aspira inutilmente il liquore assente; poi si