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dell’alabastro, ma non ve n’ha punto che abbiano dei capelli inanellati in onde flessibili e voluttuose come i capelli neri di Tela. È dessa che pende sulla coppa ardente dove imbianca un vino bollente il vaso d’una preziosa argilla e da cui lascia cadere a goccia a goccia in topazi liquidi il miele più squisito che giammai si sia raccolto sugli olmi della Sicilia. L’ape priva del suo tesoro vola inquieta in mezzo ai fiori, essa s’appende ai rami salutari dell’albero abbandonato, chiedendo il suo miele ai zeffiri.
Essa mormora di dolore, perchè i suoi piccini non avranno più asilo in alcuno dei mille palazzi a cinque muri che loro aveva eretto con una cera leggiera e trasparente, e non gusteranno il miele da lei raccolto per essi sui cespugli profumati del monte Ibla. È Tela che mette nel mio vino bollente il miele rapito alle api di Sicilia; e le altre suore di Tela, quelle che hanno i capelli neri, poichè di bionda non v’ha che Mirteo, corrono sommesse, premuroso accarezzanti con un docile sorriso intorno all’apparecchiamento del banchetto. Esse seminano fiori di granato, foglie di rose sul latte schiumato, o anche attizzano fornelli i d’ambra e d’incenso che bruciano sotto la cappa infiammata ove imbianca un vino bollente, le fiamme che si curvano da lungi attorno all’orlo circolare, che s’inchinano, che si raccostano, che lo toccano, che accarezzano le sue labbra d’oro, e finiscono per confondersi colle fiamme dalle bianche e azzurre lingue, che volano sul vino. Le fiamme salgono, discendono, si sviano come questo demonio fantastico delle solitudini che ama mirarsi nelle fontane. Chi potrà dire quante volte la coppa ha fatto il giro della tavola del festino, quante volte già vuota ha visto i suoi orli inondati di novello nettare? Giovinette, non risparmiate nè il vino, nè l’idromele. 11 sole non cessa di nuovamente gonfiare l’uva, e di versare i raggi del suo immortale splendore sui meravigliosi grappoli dondolanti dai ricchi festoni delle nostre vigne, e tra le foglie imbrunite dei pampani arrotondati in ghirlande che corrono fra i gelsi della Tempe. Ancora questa libazione per cacciare i demoni della notte? Quanto a me, non vedo più qui che gli spiriti allegri dell’ubbriachezza che si sprigionano strepitando dalla schiuma fremente, si perseguitano nell’aria come moscerini di fuoco o vengono ad abbagliare colle loro ali raggianti le mie pupille infiammate, simili agli agili insetti cui la natura ha ornato di fuochi innocenti e che spesso nella silenziosa frescura d’una breve notte d’estate, si vedono spiccare a sciame nel mezzo d’un cespuglio di verdure, come uno sprazzo di scintille sotto i raddoppiati colpi del fabbro. Essi galleggiano portati da un leggero venticello