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che finisca per restare sospeso alle dorate nubi dell’occaso. Appena la notte viene a disingannarli, spiegando le sue ali di velo, sulle quali non resta neppure uno dei chiarori lividi che moriva poco dianzi sulle cime degli alberi; appena l’ultimo riflesso già splendente sul terso metallo del tetto di un elevato edificio è lì per isvanire corno un carbone ancora ardente in un braciere spento che imbianca a poco a poco sotto la cenere, e bentosto non si distingue quasi più nel fondo del focolare abbandonato, un mormorio formidabile s’innalza fra di essi; i loro denti battono per disperazione e per rabbia, essi si premono e s’evitano per tema di trovare ovunque dei maghi o dei fantasmi. È notte e l’inferno sta per riaprirsi!
Tra gli altri ve n’era uno le cui articolazioni scricchiolavano come molle stracche e il cui petto esalava un suono più rauco e più sordo di quello di una vite irrugginita girante a fatica nel suo cavo. Ma alcuni lembi di un ricco ricamo ancor scendente del suo mantello, uno sguardo pieno di tristezza o di grazia rianimante di tratto in tratto il suo viso abbattuto, un non so qual misto inaccessibile di abbrutimento e di fierezza che rammentava la disperazione d’una pantera assoggettata dalla spranga del cacciatore, lo faceva distinguere tra la folla de’ suoi miserabili compagni; e quando passava davanti a donne non si udiva che un sospiro. I suoi capelli cadevano in anella neglette sulle spalle che s’alzavano bianche e pure come un giglio, al disopra della sua tunica di porpora. Pure il suo collo portava l’impronta del sangue, la cicatrice triangolare d’un ferro da lancia, il segno della ferita che mi schivò Palemone all’assedio di Corinto, quando questo fido amico si precipitò sul mio cuore, davanti alla rabbia sfrenata dei soldati già vittoriosi, ma anelanti di lasciare sul campo di battaglia un cadavere di più. Ed era appunto questo Palemone che aveva pianto a lungo e che mi ritorna sempre nel sonno per ricordarmi con un bacio diacciato che noi dobbiamci ritrovare nell’altra vita. Era Palemone ancor vivo, ma serbato a un’esistenza così orribile che le larve e gli spettri infernali si consolano tra loro nel raccontarsi i suoi dolori. Palemone caduto sotto l’impero delle streghe della Tessaglia e dei demoni che compongono il loro corteggio nelle solennità, le inesplicabili solennità delle loro feste notturne. Egli si arrestò, cercò lungo tempo collo sguardo stupito di cavare un ricordo al mio aspetto, mi si avvicinò inquieto e circospetto, palpò le mie mani colla sua mano palpitante e che tremava nel pigliarle, e dopo avermi avviluppato con una stretta improvvisa che non provai senza spavento, dopo aver fisso ne’ miei occhi un