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venerabile barbagianni, a un sant’uomo di lupo che predica come un eremita o alla più interessante deile caprette montanare; sicché non mi resta neppure una fava da potervi offrire.

— Voi celiate! riprese Fior de’ piselli un po’ piccata. Chi vi parla delle vostre fave, signore? non ho bisogno dello vostre fave, grazie a Dio, non saprei a che servirebbero. Il favore che vi chiedo si è di mettere il dito sul bottone del mio calesse per alzarne il buffetto, sotto il-quale sto per soffocare.

— Non cercherei di meglio, signora, ripigliò Tesoro delle Fave, se avessi l’onore di vedere il vostro calesse di cui non vi ha ombra in questo sentiero che mi parrebbe d’altronde poco viabile pei cocchi. Pure non andrà molto a scoprirlo, perché vi sento vicinissima.

— E che! esclamò ella scoppiando in una risata, voi non vedete il mio calesse! correte rischio di schiacciarlo correndo come uno stordito! vi sta dinanzi, amabile Tesoro delle Fave, ed è facile riconoscerlo dalla sua apparenza elegante che assomiglia ad un cece.

— Talmente l’apparenza d’un cece, mormorò Tesoro delle Fave, accoccolandosi, che mai e poi mai avrei da me potuto vedere in esso altro che un cece.

Non per tanto un’occhiata bastò a Tesoro delle Fave per accorgersi che esso era un grossissimo cece più rotondo d’un arancia e più giallo d’un limone sostenuto da quattro ruoticine d’oro e munito di un elegante valigia fatta con un guscio di pisello verde e lustro come un marocchino.

Egli mise subito la mano sul bottone e la portiera si apri.

Fior de’ Piselli ne zampillò come un grano di balsamino, e cadde lesta e giuliva sui talloni. Tesoro delle Fave si rialzò attonito, poichè mai nulla aveva immaginato di bello come Fior de’ Piselli. Era infatti il visuccio più compito che un pittore possa trovale: occhi lunghi come mandorle, violetti come le barbabietole, dagli sguardi acuti come lesine e una bocca fine e scherzosa che non ischiudevasi che per iscoprire dei denti bianchi quanto l’alabastro e lucenti come lo smalto. Il suo vestito corto, un po’ rigonfio, chiazzato di fiamme rosee come i fiori che spuntano sui piselli, arrivava appena a metà delle gambe ben tornite coperte da calze bianche di seta piene, come se a infilarle si avesse adoperato l’argano, e terminate da piedini gentili che non si poteva vederli senza invidiare la felicità del calzolaio che li aveva di sua mano imprigionati nel raso.

— Di che ti stupisci? disse Fior de' Piselli. — Ciò che prova, fra parentesi che in quel momento Tesoro delle