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26 | racconti fantastici |
fecero presto per ritornare alla capanna, poichè la guazza che s’abbassava, poteva nuocere al loro bimbo.
Quando furono di ritorno al focolare, provarono un altro contento; poichè il loro piccino tendeva le braccia Con un riso affascinante e li chiamava mamma e babbo come non ne avesse conosciuto altri. Il vecchio lo pigliò dunque sulle ginocchia e ve lo fece saltare dolcemente come le signorine che passeggiano a cavallo, dicendogli mille parole graziose, a cui il bambino rispondeva a modo suo per non essere in debito col vecchio in una conversazione tanto gentile. E nel frattempo la vecchia accese una bella fiammata di gusci di fave secche che rischia rava tutta la casa, per rianimare le piccole membra del nuovo venuto con un dolce calore, e preparargli un’eccellente pappa di fave in cui sciolse una cucchiaiata di miele che la fece un cibo delizioso... Poi coricò il bimbo avvolto nelle fasce di tela fina molto belle, sulla migliore cuccetta di paglia di fave che vi fosse in casa, perchè questa povera gente non ne conosceva l’uso delle piume e del piumino. Il bimbo vi si addormentò, saporitamente. Quando il piccino fu addormentato il vecchio disse alla vecchia. Una cosa m’inquieta, ed è il sapere come chiameremo questo angioletto, chè nè conosciamo i suoi parenti nè sappiamo da dove venga.
La vecchia, che aveva dello spirito, quantunque non fosse che una povera campagnola, rispose subito: Bisogna chiamarlo Tesoro delle Fave, perchè è nel nostro campo di fave che ci è venuto; ed è un vero tesoro perchè consolerà i nostri ultimi giorni. E il vecchio convenne che non potevasi immaginare di meglio.
Non vi dirò minutamente come trascorsero i giorni e gli anni seguenti, perchè ciò allungherebbe di molto la storia. Vi basti sapere che i vecchi vegliarono sempre intanto che Tesoro delle Fave cresceva a vista d’occhio sempre più bello. Non è ch’egli avesse ingrandito di molto: a dodici anni egli non era alto più di due piedi e mezzo; e quando lavorava nel campo di fave, che egli amava molto, voi l’avreste appena scorto dalla strada. Ma egli era così ben formato nella sua personcina, così avvenente d’aspetto e di fattezze, così dolce e tuttavia si risoluto nel parlare, così attillato nel suo gabbano celestino colla cinta rossa, e sotto il suo fino berretto delle domeniche coi pennacchi di fiori di fave, che non si poteva a meno di ammirarlo come un vero miracolo di natura, sicchè v’eran molti che lo credevano un genio o una fata.
Bisogna confessare che molte cose davano credito a questa supposizione del popolino. Prima di tutto la capannuccia e il suo campo di fave dove una vacca in addietro avrebbe trovato appena da brucare, erano diventati uno de’