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12 del fantastico in letteratura


Il fantastico inventò ed abbellì la storia delle epoche equivoche delle nostre giovani nazioni, fu lui che popolò i nostri castelli in rovina di visioni misteriose, evocò sulle torri la figura delle fate protettrici, aprì un rifugio impenetrabile nei cavi delle roccie o sotto i merli delle mura abbandonate, alla formidabile famiglia di dragoni. È lui che aveva acceso sulla fronte di questi mostri i fuochi del carbonchio quando attraversano rapidamente il cielo come una stella cadente; lui che sviava i viaggiatori sulle rive delle acque stagnanti dietro l’orma capricciosa del folletto; che consolava la loro veglia rustica nella capanna del boscaiuolo; in un angolo di un focolare ospitale cogli occhi inoffensivi dei folletti; che intratteneva di dolci promesse le speranze credule delle giovinette, e di dolci ozii la visione sedentaria del vecchio, ohimè! così presto distrutta dalla morte.

Il fantastico allora era dovunque tanto nelle credenze più severe della vita come ne’ suoi più graziosi errori; nelle sue solennità come nelle sue feste. Egli padroneggiava il foro, la cattedra e il teatro; sedeva con Alberto il Grande sui seggioloni del santuario, con Agrippa nel gabinetto del filosofo; con Ruggero, Bacone e Paracelso, nel laboratorio del chimico, e introduceva la negromanzia e l’astrologia giudiziaria fino nel consiglio dei re. Il suo potere non sarà mai dimenticato nella letteratura nella quale produsse gli ingenui racconti delle leggende, animò d’una pompa così imponente la cronaca dei tornei, delle battaglie e delle crociate, si diffuse assai negli scherzi dei vecchi novellieri e nelle fiabe dei trovatori. È al fantastico che dobbiamo i romanzi cavallereschi, specie di epopea innominata, nella quale si confondono con un’armonia indescrivibile tutte le scene d’amore e d’eroismo della mezza età; amore senza esempio, nel quale non si sa se ammirare di più la pudica tenerezza dell’amata o l’entusiasmo passionato dell’amante; eroismo ideale, che tutto aveva da combattere, il valore de’ guerrieri, la collera dei re paladini, gli agguati del tradimento, i disordini della natura soggiogata dalla magia, l’intervento di mille potenze impreviste modificate sotto aspetti sempre nuovi secondo il capriccio della fantasia inventrice del romanziere, da tutti gli accidenti possibili della fatalità e che malgrado tutto ciò riusciva a trionfare.

Questo non era più Giunone, Nettuno o Venere eccitati, come nella teologia pagana a perdere un uomo; era l’universo intiero personificato sotto una moltitudine d’individualità diverse, e lottante contro un guerriero coperto, per pura difesa, del suo coraggio, del suo amore, del suo buon diritto. Questo non era più l’obbrobriosa e