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del fantastico in letteratura 11

della mitologia, la letteratura fantastica come il sogno di un moribondo sorse tra le rovine del paganesimo, negli scritti degli ultimi classici greci e latini, Luciano e Apuleio.

Dopo Omero essa erasi affatto dimenticata; e Virgilio stesso, che una immaginazione tenera e malinconica trasportava facilmente nelle regioni dell’ideale, non aveva osato togliere dalle muse primitive i colori vaghi e terribili dell’Inferno di Ulisse.

Poco dopo Seneca, più positivo ancora, ardì perfido spossessare l’avvenire del suo impenetrabile mistero nei cori della Troade; e allora si spense affogata sotto la sua filosofica mano, l’ultima scintilla dell’ultima face della poesia.

La musa non si risveglia più che un istante, capricciosa, disordinata, frenetica, animata da una vita fittizia, divertendosi con amuleti incantati, con cespi d’erbe velenose e di ossa di morto, alla luce della torcia delle streghe di Tessalia, nell’Asino di Lucio. Ciò che dopo restò di esse fino al rinascimento delle lettere è questo mormorio confuso di una vibrazione che si estinse sempre più nel vuoto e che attende un impulso novello per ricominciare. Ciò che avvenne ai Greci e ai Latini doveva avvenire a noi. Il fantastico piglia le nazioni nelle fasce come il re degli alni, tanto temuto dai fanciulli o li assiste al loro funebre capezzale come lo spirito famigliare di Cesare; quando tutto è finito, finiscono i suoi canti.

La nostra moderna letteratura non fu sommessa meno della latina allo spirito d’imitazione. Ma l’invasione dei Mori così favorevole in ciò allo sviluppo morale del medio evo, aveva già trasportato sul nostro secolo il genio vivace e produttore della giovane poesia. Senza questo avvenimento, la letteratura classica accuratamente perpetuata fino a noi dallo zelo ammirabile dei frati, si sarebbe rialzata tutt’intera e senza intermediario dal seno della barbarie alla prima chiamata d’una società avida di luce spirituale, ed è ciò che avvenne più tardi, quando la stampa ebbe gettato in gran copia nella circolazione le opere dell’antichità, cioè una creazione letteraria bell’e fatta. Epoca singolare, in cui una generazione di sapienti e di poeti riprodusse a un tratto i sofisti d’Alessandria, i grammatici del Basso impero e i verificatori della decadenza romana, come un popolo di Epimenidi, ispirati da una religione, da una civiltà e da una lingua morte e che non differivano in alcun modo da essi stessi che per certo languore degli organi che tradisce l’abbattimento di un lungo sonno. All’apparire di questi sapienti e di questi poeti il fantastico svanisce, ma esso rischiarava da solo l’Europa da qualche secolo.