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Pasquale d’Ercole aveva 54 anni quando, nel Gennaio 1895, scriveva al Maturi che gli aveva inviato da poco il suo lavoro intitolato «La filosofia e la metafisica» esprimendo il suo giudizio su quella «Memoria». Era all’apogeo, si può dire, della sua attività filosofica: non più hegeliano, non ancora chiaramente orientato, mediante l’idea dell’evoluzione e la sua concezione dell’essere evolutivo finale» verso un positivismo spiritualistico nel suo evoluzionismo. Positivismo che peraltro, come osserva il Carlini1, il d’Ercole credeva, fin dalla sua prolusione del 1863, conciliabile con la dottrina hegeliana «purché dell’Idea non si faccia un Dio causa del cosmo a esso precedente, ma s’intenda come Finalità assoluta che trasmuti il materialismo meccanico in un sistema razionale rappresentante scientificamente il divenire universale».

Il d’Ercole aveva, come il fiore della gioventù studiosa napoletana, sentito il fascino della cultura e della filosofia tedesca, allora all’apogeo, aveva imparata, come il Turchiarulo e molti altri, la lingua tedesca dal prof. Von Sommer, fine letterato tedesco tutt’altro che insensibile tanto ai problemi filosofici agitati dai suoi connazionali che a quelli politici dei suoi ospiti italiani.

Divenuto padrone della lingua tedesca e procacciatosi un passaporto come «mercante di olio» (il regime borbonico rendeva inconfessabili altre esigenze spirituali e la qualità di spacciatore di olio era verisimile per un Pugliese) il d’Ercole era emigrato a Berlino, ove non era, perchè guidato dal Michelet, divenuto fanatico hegeliano, ma sicuro possessore e dominatore della speculazione filosofica tedesca in tutte le sue correnti. E la sicurezza e chiarezza del critico possesso di quella filosofia, in particolare della kantiana

  1. Carlini, Un filosofo pugliese: Pasquale d’Ercole, in «Corriere delle Puglie» del 21 Giugno 1914.