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Il 19° secolo cerca istintivamente le teorie colle quali egli sente giusltificato il suo fatalistico assoggettamento alla realtà. Già il successo di Hegel contro la «sensibilità» e l’idealismo romantico, consisteva in quel che c’era di fatalistico nel suo modo di pensare, nella sua fede che la maggiore ragionevolezza era dalla parte dei vincitori, nella sua giustificazione del vero «Stato» (in luogo dell’umanità, ecc.). Schopenhauer: noi siamo esseri sciocchi, e nel caso migliore, negatori di noi stessi. Successo del determinismo, della derivazione genealogica delle obbligazioni, che avevano prima un valore assoluto, la dottrina dell’ambiente e dell’adattamento, il ridurre la volontà a dei movimenti riflessi, la negazione della volontà come «causa operante», finalmente un vero cambiamento di nome: si vede così poca volontà che la parola «libero» viene ad indicare qualche cosa di diverso. Teorie ulteriori: la teoria dell’oggettività, l’osservazione priva di volontà, quale unica via alla verità; anche alla bellezza (anche la fede nel «genio» per avere un diritto all’assoggettamento) il meccanismo, la inflessibilità misurabile del processo meccanico; il preteso «naturalismo», l’eliminazione del soggetto, quale principio che sceglie, dirige, interpreta.

Kant colla sua «Ragione pratica», col suo fanatismo morale è tutto il 18° secolo, ancora interamente fuori del movimento storico, senza uno sguardo per la realtà del suo tempo, p. es., la rivoluzione; non tocco dalla filosofia greca; visionario del concetto del dovere, sensualista colla appendice della cattiva abitudine dogmatica.

Il ritorno del nostro secolo a Kant, è un ritorno al 18° secolo; l’uomo si vuole creare nuovamente un diritto agli antichi ideali, all’antico sentimentalismo; di qui una teoria della conoscenza che stabilisce dei confini, permette cioè di supporre a piacere qualcosa «oltre» la ragione.

Il modo di pensare di Hegel non è molto diverso da quello di Goethe: si ricordi ciò che Goethe dice di Spinoza: La volontà che conduce alla deificazione del tutto e della vita, per poter trovare pace e felicità nell’ammirarla e nell’approfondirla. Hegel cerca dappertutto la ragione; dinanzi alla ragione ci si può rassegnare od arrendere.

In Goethe troviamo una specie di quasi giocondo e fiducioso fatalismo, che non è certo la ribellione nè la sfiducia, che cerca di formare da sè una totalità: nella fede che solo nella totalità tutto si redime e appare buono e giustificato.