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le possibili ipotesi. Noi neghiamo le mete finali: se l’esistenza avesse una meta, questa meta sarebbe raggiunta.

Si capisce che qui si tende a qualcosa che è un contrapposto del panteismo: poichè l’affermazione che «tutto è perfetto, divino, eterno» obbliga ugualmente ad una fede nell’eterno ritorno». Domanda: questa posizione affermativa e panteista verso tutte le cose è anch’essa sorpassata con la morale? In fondo è stato sorpassato soltanto il Dio morale. Ha un senso l’immaginarsi un Dio «al di là del bene e del male?» Sarebbe possibile un panteismo in questo senso? Sopprimiamo l’idea della meta dal processo e affermiamo, malgrado ciò, il processo? Sarebbe questo il caso se, nel corso di quel processo si raggiungesse qualcosa — e sempre la stessa cosa. Spinoza raggiunse una simile posizione affermativa, per il fatto che ogni momento ha una necessità logica; ed egli trionfò di una simile conformazione del mondo col suo istinto logico fondamentale. Ma il caso di Spinoza è solo un caso particolare. Ogni carattere fondamentale, che forma la base di tutti i fatti, che si esprime in ogni fatto, quando fosse considerato da un individuo come il suo proprio carattere fondamentale, dovrebbe spingere questo individuo ad approvare trionfalmente ogni momento dell’esistenza universale. L’essenziale sarebbe che questo carattere fondamentale producesse piacere, venisse riconosciuto quale buono e prezioso.

Ora la morale ha protetto la vita contro la disperazione e il salto nel nulla in quegli uomini e in quelle classi che erano con la violenza oppresse da altri uomini; poichè l’impotenza di fronte agli uomini, non l’impotenza di fronte alla natura produce l’amarezza più disperata della vita. La morale ha considerato i potenti, i violenti, i «padroni» in somma generale come nemici, contro di cui l’uomo comune doveva essere protetto, cioè anzi tutto incoraggiato e rinvigorito. La morale dunque ha insegnato a odiare e a disprezzare nel modo più intenso quello che forma il tratto fondamentale del carattere dei dominatori: la loro volontà di potere. Sopprimere, negare, scomporre questa morale, sarebbe considerare l’istinto più odiato con un sentimento e con una valutazione opposta. Se l’oppresso, colui che soffre, perdesse la credenza di aver diritto a disprezzare la volontà di potere, entrerebbe nello stato della più completa disperazione. Accadrebbe veramente così se questo tratto fosse essenziale alla vita, e se si potesse dimostrare che in quella volontà morale è soltanto dis-