Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Capitolo V.
Ci appressiamo ora al vero e proprio scopo della nostra ricerca, che mira alla conoscenza del genio dioniso-apollineo e del suo capolavoro, o almeno alla comprensione, piena di presentimento, del mistero di cotesta unione. E principiamo col chiederci dove mai nel mondo ellenico venga in luce la prima volta quel nuovo germe, che poi si svolge fino alla tragedia e al ditirambo drammatico. Su ciò l’antichità stessa ci dà effigiata la notizia, quando nelle sculture, nelle gemme e simili, ritrae l’uno accanto all’altro Omero e Archiloco come progenitori e lampedefori della poesia greca, col fermo sentimento, che soli questi due erano da riguardarsi come le nature egualmente e pienamente originali, onde poi scaturì e si sparse una lava di fuoco su tutta la posterità greca. Omero, il canuto sognatore immerso in sé stesso, il tipo dell’artista apollineo, ingenuo, eccolo guardare stupito la testa passionata del battagliero alunno delle muse, Archiloco, fieramente incalzato tra le vicissitudini dell’esistenza: l’estetica moderna null’altro saprebbe chiaramente aggiungervi, se non che qui all’artista «obiettivo» è contrapposto