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38 | capitolo terzo |
alta? L’identico istinto che dà la vita all’arte, come a un complemento e completamento dell’esistenza che consiglia di continuare a vivere, diede anche origine al mondo olimpico, nel quale la «volontà» ellenica alzò davanti a sé stessa uno specchio trasfiguratore. Così gli dèi giustificano la vita umana, in quanto essi stessi vivono: ed è la sola teodicea che soddisfa! L’esistenza sotto il limpido splendore solare di tali dèi viene sentita come per sé stessa desiderabile, tanto che per gli uomini omerici il dolore vero e proprio non consisteva in altro che nel doversene separare, e, soprattutto, nel separarsene presto: in modo che di loro si può dire, invertendo il detto della saggezza silenica, che per essi «il primo dei peggiori mali è il morir presto, e il secondo è, comunque, il dover morire». Quando risuona un tal lamento, trova eco in Achille dalla vita breve, nel continuo trapasso del genere umano caduco e risorgente come le foglie del bosco, nel tramonto dei tempi eroici. Non è indegno del più grande degli eroi il desiderio di vivere ancora sulla terra, sia pure come un giornaliero. La «volontà» ispirata dal senso apollineo anela con tale brama a questa
esistenza, l’uomo omerico si sente così unificato con essa, che perfino il lamento diviene il suo canto di gloria.
Qui corre l’obbligo di dichiarare, che questa armonia guardata così nostalgicamente dagli uomini moderni, questa unificazione dell uomo con la natura, per cui Schiller ha dato valore