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il ditirambo 33


e di spasimo, parvero qualcosa di nuovo e di inaudito al mondo greco-omerico: particolarmente la musica dionisiaca gli fece terrore e orrore. Se evidentemente la musica era già riconosciuta come un’arte apollinea, vuol dire che essa, esattamente intesa, non era tale se non come onda ritmica, la cui forza figurativa venisse svolta a produrre stati d’animo apollinei. La musica di Apollo era l’architettura dorica espressa in note, ma in note leggere e descrittive, quali sono proprie della cetra. L’elemento che in essa era evitato con cura, come non apollineo, era appunto quello che forma il carattere della musica dionisiaca e della musica in generale, vale a dire la vigoria scotente del suono, il torrente compatto della melodia e il mondo affatto impareggiabile dell’armonia. Nel ditirambo dionisiaco l’uomo viene eccitato alla più alta esaltazione di tutti i suoi talenti simbolici: qualcosa di non mai provato fa impeto per venir fuori, per trovare espressione; è la distruzione del velo di Maia, l’unità dell’essere come genio della generazione, della stessa natura. Qui l’essenza della natura deve esprimersi simbolicamente: è necessario un nuovo mondo di simboli, è necessaria l’intera simbolica del corpo, non già la mera simbolica della bocca, del viso, della parola, sibbene la piena mimica della danza, quella che move insieme ritmicamente tutte le membra. Allora di botto, impetuosamente, le altre forze simboliche, quelle della musica, si sviluppano in ritmica, in dinamica, in armonia. Per