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Capitolo II.
Finora abbiamo considerato il senso apollineo e il suo opposto, il dionisiaco, come forze artistiche che scaturiscono dal seno stesso della natura, senza intervenzione dell’artista umano, e nelle quali gl’istinti artistici della natura medesima trovano il primo e diretto appagamento: prima come mondo figurativo del sogno, la cui compiutezza non ha alcun rapporto con l’altezza intellettuale o con l’educazione artistica del singolo; poi come realtà piena di ebbrezza, che neppure fa conto del singolo, ma anzi cerca di abnegare l’individuo e scioglierlo in un misticismo unitario. Davanti a tali stati artistici immediati della natura ogni artista è «imitatore»; vale a dire, o è artista apollineo del sogno, o artista dionisiaco dell’ebbrezza, o, infine, come per esempio nella tragedia greca, è artista del sogno insieme e dell’ebbrezza. Quest’ultimo ci è dato immaginarlo simile a un dipresso a colui che, caduto a terra durante l’ebbrezza dionisiaca e l’abnegazione mistica, rimane solo, appartato dai cori deliranti: in virtù del sogno apollineo, il suo proprio stato, vale a dire la sua unità con l’intima sostanza del mondo, ora gli si rivela in una visione allegorica di sogno.