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26 | capitolo primo |
tuali forme conoscitive del fenomeno, pel fatto che il principio di causa sembra che in taluna delle sue manifestazioni non si avveri, soffra eccezione. Se accanto a questo orrore poniamo il rapimento ardente, che per l’infrazione stessa del principium individuationis sale dal tondo intimo dell’uomo, anzi della natura, noi ci formiamo l’idea dell’essenza del dionisiaco, che ci è resa anche più accessibile mercè il paragone con la ebbrezza. Quei commovimenti dionisiaci, che sollevandosi sommergono in completo oblio il senso subiettivo, sorgono o per effetto delle bevande narcotiche, in virtù delle quali tutti gli uomini e i popoli primitivi parlano per inni, oppure per la potenza della primavera, il cui approssimarsi compenetra di allegrezza l’intera natura. Anche nel medio evo tedesco schiere sempre più fitte, prese dallo stesso ardore dionisiaco, si avvicendavano di borgo in borgo cantando e danzando: in cotesti danzatori di San Giovanni e di San Vito noi ritroviamo i cori bacchici dei greci, con le loro reminiscenze dell’Asia Minore, e perfino di Babilonia e delle feste orgiastiche sacee. Non mancano uomini che, imbaldanziti del senso della propria sanità, beffano o lamentano, per difetto di esperienza o per stupidità, siffatti fenomeni, considerandoli come «malattie popolari»: cotesti poveri di spirito non sospettano neppure fino a qual punto appare cadaverica e spettrale la loro «sanità», quando passa rombando vicino a loro il vampo di vita dei tripudiatori dionisiaci.
Il fascino dionisiaco non ripristina solamente