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24 | capitolo primo |
insomma tutta quanta la Divina Commedia della vita col suo inferno; e non passa meramente come la processione di una lanterna magica; ché egli vive queste scene e soffre insieme coi loro fantasmi, sebbene non smarrisca interamente la fuggevole sensazione della loro apparenza; anzi molti forse, come me, si ricordano, che tra i pericoli e lo spavento del sogno gridarono, riprendendo intanto animo e con effetto immediato: «È un sogno! Voglio sognarlo ancora!» Similmente, mi è stato raccontato di gente, che avevano la facoltà di prolungare l’incentivo e la ripetizione dello stesso sogno per tre e più notti successive: fatti, i quali chiaramente attestano, che la nostra intima natura, la sostanza a noi tutti comune sperimenta nel sogno per sé stesso un profondo piacere e una dolce necessità.
Questa dolce necessità dell’imparare dal sogno, i greci l’hanno configurata nel loro Apollo: Apollo, dio di tutte le facoltà figurative, è, insieme, il dio profetico. Esso che, secondo la radice del nome, è il «risplendente», la divinità della luce, è anche il patrono del bello splendore dell’intimo mondo della fantasia. La più alta verità, la compiutezza di questo dominio all’incontro della comune realtà intelligibile solo moncamente, del pari che la profonda coscienza che la natura risana ed aiuta durante il sonno e il sogno, formano il riscontro simbolico della facoltà profetica e in generale delle arti, in virtù delle quali la vita diviene comportabile e meritevole di esser vissuta. Ma nemmeno nella figurazione di Apollo