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il mondo come arte 11


darla, e non solamente di classificarla tra i «fenomeni» (nel senso del terminus technicus idealistico), ma addirittura tra le «illusioni», come apparenza, fantasia, errore, interpretazione, accomodamento, arte. Forse la profondità di cotesta inclinazione antimorale può nel modo migliore misurarsi dal silenzio circospetto e ostile, con cui in tutto il libro viene contemplato il cristianesimo: il cristianesimo, quale la più traviata configurazione del tema morale, che all’umanità sia finora toccato di ascoltare. In verità, di fronte all’interpretazione e giustificazione puramente estetica del mondo, quale è insegnata in questo libro, non s’incontra una opposizione più recisa della dottrina cristiana, che è e vuol essere unicamente morale nei suoi assiomi, e, principiando, per esempio, dalla sua indiscutibile veracità di Dio, rigetta l’arte, tutta l’arte, nel regno della menzogna, vale a dire la annichila, la condanna, la danna. Dietro un siffatto criterio di raziocinazione e di valutazione che, fintanto che la dottrina cristiana si serba schietta, dev’essere nemico dell’arte, io fin da allora avvertii che è anche nemico della vita, avvertii la sua rabbiosa e vendicativa avversione alla stessa vita; giacché tutta la vita è fondata sull’apparenza, l’arte, l’illusione, la visione, sulla necessità del prospettico e dell’erroneo. Fin dal principio il cristianesimo fu essenzialmente e fondamentalmente fastidio e disgusto della vita per la vita, i quali a stento riuscivano ad ammantarsi, a celarsi, a imbellettarsi con la fede in un «altro