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l prefazione del traduttore

refrenabile istinto vitale, al nume barbarico del mostruoso e dell’orrido, del titanico e dell’eccesso, della licenza, della «dismisura», del libito, Apollo, che ergeva il capo nella sua sovrana compostezza, non era unicamente il dio degli universalia in re, del principium individuationis, del definito, del limite, del giusto mezzo, del λόγος ὁ ὀρθός, della «misura», del lecito; non era unicamente il dio dell’«apparenza» fenomenica, dell’armonia delle cose, del numero e del ritmo, dell’epopea e della lirica, dell’arte e della «città» doriche, della morale e della civiltà. Apollo era, in verità, senza che il Nietzsche stesso ne fosse consapevole, il simbolo della vera arte, della pura forma, della pura intuizione, del puro sentimento, dell’«io lirico universale» in cui l’artista oblia completamente il proprio io individuale e gli affetti e passioni del suo privato individuo, e non sente e non vede e non conosce altro che il gran problema tumultuantegli nella fantasia, vale a dire il problema di ravvisare in tutto e per tutto ciò che gli è apparso sullo specchio dell’anima, e di configurarlo per filo e per segno come è, ossia di dargli la sua forma vera, di dare all’intuizione la sua espressione. Apollo è il simbolo dell’uomo individuo scomparso affatto nel poeta, bruciato tutto senza residuo nel puro artista: «l’affetto non è stato mai in grado di produrre nulla di artistico (cap. XIX)». Ed è il simbolo dell’arte «classica», perchè la classica fu ciò che è l’arte vera ed eterna. La quale