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prefazione del traduttore xlix


questa universale vita che muore, questo universale piacere che soffre; il tutto con perfetta coscienza e scienza, iniziata la coscienza, ed espressamente imparata la scienza, a suon di musica; che è musica greca e non wagneriana, perché qui siamo ai tempi dei divini capribarbicornipedi. Se non che, Dioniso, tanto con l’ebbrezza dionisiaca, quanto con la scienza dionisiaca rivelatrice del cupo baratro spalancato a inghiottire ogni cosa vivente, reciderebbe i nervi all’azione, sommergerebbe gli uomini anche durante il breve spazio-di tempo che hanno l’esplicita incombenza di rappresentare a questo mondo la parte di individui fenomenici: come si ripara a cotesto pericolo di una morte non ancora morta? Ed eccoci ad Apollo. Bisogna che allunghiamo la mano sacrilega alla sua chioma bionda: dopo ucciso Cloridano, guardiamo bene in faccia Medoro; è il mezzo per mandarlo assolto.

E quale assoluzione! Mi viene il sospetto, che forse in principio l’immagine di Apollo si affacciò alla mente giovanile del Nietzsche come la soluzione poetico-simbolica di questo enigma insolubile: perché i greci furono un popolo di genio e i popoli non ellenici, i popoli barbari no? che è un altro di quei rompicapi, di cui si è discorso sopra. Comunque, è un fatto, che quando questo romantico di venticinque anni affissò le potenze dell’anima ardente e meditativa nella visione del dio luminoso, egli ebbe davvero l’occhio «sereno come il sole». Di faccia al dio degli universalia ante rem, al Dioniso dell’ir-