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xliv prefazione del traduttore


musica, e invece diventano indissolubili, fanno un corpo solo. Come si fa a staccare l’«Eia Mater» dall’io musico universale, che cantò nel sentimento di Pergolese? Dallo Spirto gentil, dal Deh, non volerli vittime, dal Deserto e cupo è il mare, dal Guarda don Bartolo come si può separare l’inseparabile? La separazione è fattibile dove l’unità non c’è, non c’è l’organismo vivente; dove artigiani più o meuo abili si sono ingegnati a congegnare versi con note di violoncelli e clarinetti, con recitativi e arie di tenori e soprani: solo che gli ebanisti della solfa non hanno che vedere con l’arte.

La teoria dello Schopenhauer è un castello di carte da gioco; un castello evidentemente rizzato al fine di spiegare il segreto dell’enorme potere che, con incommensurabile vantaggio sopra le altre arti, la musica esercita universalmente in modo immediato sulla fantasia e in modo mediato su tutta l’attività dello spirito. Come si spiega la potenza infinita della musica sull’anima umana? Si spiega col fatto, che la musica è la diretta emanazione della Volontà, prorompente dal cuore stesso del mondo. Tale è la domanda che premè la mente dello Schopenhauer e tale la risposta che egli diede. E il giovine Nietzsche la fa sua; ma il suo senso estetico acutissimo, consigliandogli una riserva che or ora esamineremo, lo indusse a combattere vittoriosamente la musica non-musica, ossia la così detta «musica descrittiva», e quindi a definire chi è che in fatto di musica può dirsi