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xxxviii prefazione del traduttore


la storia delle idee eterne: se non si conoscono, distinte e nette, le varie attività dello spirito con le rispettive funzioni e i rispettivi prodotti, su che cosa la critica fonderebbe i suoi criteri di discriminazione? e senza la norma dell’analisi, come verrebbe alla sintesi del giudizio? I digiuni affatto di filosofia o negati affatto alla meditazione filosofica, i quali, ciò non ostante, presumono di esercitare la critica d’arte, farebbero meglio a riflettere su questo esempio memorabile del giovine Nietzsche, che, sebbene dotato di un suscettibilissimo e squisitissimo senso estetico capace di penetrare le verità più recondite e, al suo paese e ai suoi tempi, tuttora precluse, pure dissipò in idee assurde quasi tutto il tesoro scoperto, appunto perché si era fatto della scienza un concetto assurdo e aveva accettato dommaticamente l’assurda concezione fenomenistica del «mondo dell’apparenza», di questo «mondo d’illusione».

Secondo il filosofo-filologo la vera verità, dunque, è desolatamente pessimistica: il mondo dell’uomo e della natura non ha, per sé stesso, un costrutto; non ha nemmeno o per lo meno lo scopo di essere il regnum hominis; tanto meno, se c’è, non può non esserci, e dunque dev’esserci, e la sua essenza è la sua esistenza: no; esso è meramente l’interminabile spettacolo fenomenico che il principio primordiale, il Wille, la Volontà, mette su unicamente per appagare senza posa né requie il suo inesauribile bisogno estetico. Cotesto Wille è un dio assetato ine-