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Capitolo XXV.
La musica e il mito tragico sono in pari guisa l’espressione della capacità dionisiaca di un popolo, e indivisibili l’una dall’altro. Derivano ambedue da un mondo artistico posto di là dall’apollineo; ambedue trasfigurano una plaga, nei cui concenti dilettosi la dissonanza risuona irresistibile non meno che l’immagine tremenda dell’universo; ambedue giocano col pungolo del tormento confidando nella soverchianza delle loro arti incantate; ambedue giustificano con tale gioco resistenza stessa del «pessimo dei mondi». Qui lo spirito dionisiaco, commisurato con l’apollineo, si rivela come l’eterno potere artistico primordiale, che in genere chiama all’esistenza l’intero mondo del fenomeno, nel cui seno s’impone la necessità di una nuova illusione trasfiguratrice per mantenere in vita il mondo fluente dell’individuazione. Se potessimo immaginare un’incarnazione della dissonanza divenuta uomo (e che cos’altro mai è l’uomo?), cotesta dissonanza, per vivere, avrebbe bisogno di una splendida illusione, che coprisse di un velo di bellezza la sua propria natura. È questo il vero fine artistico di Apollo, sotto il cui nome sussumiamo tutte le innumerevoli illusioni della