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210 | capitolo ventiquattresimo |
punto caratterizzare come un desiderio di ascoltare e, insieme, di trasportarci di là dall’ascoltazione. Cotesta anelanza all’infinito, cotesto colpo d’ala della nostalgia nell’istante stesso della gioia suprema provata alla chiara visione della realtà, ci dicono appunto, che nell’uno e nell’altro caso dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il quale sempre e in ogni cosa ci rivela il gioco di costruzione e di distruzione del mondo della individualità come lo sfogo di un piacere primordiale, nella stessa guisa come la forza creatrice del mondo viene assomigliata da Eraclito l’Oscuro al ghiribizzo di un fanciullo, che gioca a rizzare qua e là e a rovesciare castelletti di pietre e di sabbia.
Se intendiamo di apprezzare esattamente l’attitudine dionisiaca di un popolo, ci è d’uopo, dunque, di non por mente solo alla sua musica, sibbene ci è altrettanto indispensabile d’interrogare, come secondo testimonio di tale sua capacità, il suo mito tragico. Tenendo conto di questa intima parentela tra la musica e il mito, è lecito presumere, che con la degenerazione e depravazione dell’una va connesso l’inaridimento dell’altro; giacché l’infiacchimento del mito esprime in generale l’estenuazione della facoltà dionisiaca. Se non che, uno sguardo gettato all’una e all’altro non ci consentirebbe alcun dubbio sullo svolgimento dell’anima tedesca: la natura dell’ottimismo socratico, altrettanto insensibile all’arte quanto corrodente la vita, ci si è svelata così nel melodramma, come nel carattere astratto