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200 | capitolo ventitreesimo |
ture, la divorante brama di conoscenza, se non la perdita del mito, la perdita della patria mitica, del mitico seno materno? Si dubiti pure, se il movimento febbrile e tanto sinistro di questa cultura sia qualcos’altro che l’avidità dell’affamato che allunga la mano e ghermisce l’alimento; ma chi vorrebbe dare ancora una briciola a una siffatta cultura, che di quanto inghiotte non è mai satolla, e al cui tocco il nutrimento più sostanzioso e salubre usa cangiarsi in «Storia e Critica»?
Si dovrebbe, con dolore, disperare anche della nostra vita tedesca, se il popolo tedesco si fosse già fuso indissolubilmente con la sua cultura, fosse divenuto uno con essa, nella stessa guisa come è avvenuto e, con nostro spavento, possiamo osservarlo nella incivilita Francia. E quello stesso fatto che per tanto tempo ha costituito il grande vantaggio della Francia, ed è stato la ragione della sua enorme supremazia, cioè appunto cotesta unificazione di popolo e cultura, dovrebbe in questo momento indurci ad apprezzare la fortuna, che questa nostra tanto problematica cultura non ha fino a oggi nulla di comune con l’intima e nobile essenza del carattere del nostro popolo. Tutte le nostre speranze si movono anzi con passione nostalgica verso la certezza, che sotto i flutti agitati di questa vita di cultura e i sussulti di questa educazione si celi una magnifica forza originaria, intimamente sana, la quale, invero, si solleva gagliarda solo nelle ore dei portenti, e poi ricade torpida, a