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Capitolo XXIII.
Chi voglia provare proprio con precisione sopra sé medesimo, se e in qual grado è affine al vero ascoltatore estetico, oppure se non fa parte della società degli uomini socratico-critici, non deve far altro, che domandarsi coscienziosamente qual’è la vera sensazione suscitata nel suo animo dal prodigio rappresentato sulla scena: se, cioè, egli non ne senta offeso il suo senso storico guidato dalla rigida causalità psicologica, oppure se non fa, per così dire, una benevola concessione al prodigio, come a un fenomeno comprensibile nella fanciullezza ma a lui ormai divenuto estraneo, oppure se non prova, comunque, qualcosa d’altro. Da questo, insorama, egli può misurare fino a qual segno è capace di comprendere il mito, cotesto simbolo riassuntivo dell’universo, il quale, come compendio del mondo fenomenico, non può far di meno del prodigioso. Ma è verosimile, che quasi tutti, esaminando rigorosamente sé stessi, si sentano talmente disgregati dallo spirito critico-storico della nostra cultura, che non sanno più concepire come credibile l’esistenza del mito, quale fu un tempo, se non per la via erudita, per mezzo di astrazioni. Se non che, tolto il mito,