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188 | capitolo ventunesimo |
staccato. L’identità fra la linea melodica e la figura vivente, fra l’armonia e i rapporti caratturistici di quella figura, è vera in un senso opposto a quale ci possa sembrare assistendo allo spettacolo della tragedia musicale. Per quanto noi possiamo movere, nel modo più evidente allo sguardo, la figura, e animarla e illuminarla dal di dentro, pure essa continua a essere non più che il fenomeno, dal quale non c’è ponte che meni alla vera realtà, all’intimo cuore del mondo. Soltanto la musica è la voce che parla dal fondo di questo cuore; e innumerevoli fenomeni di quella specie potrebbero bene passare attraverso la stessa musica, e non ne esaurirebbero mai l’essenza, bensì ne sarebbero sempre niente altro che immagini commutabili. Con l’opposizione popolare e interamente falsa di anima e corpo non si spiega, certo, nulla del difficile rapporto di musica e dramma, e si sconcerta tutto; ma la grossolanità afilosofica di quella opposizione sembra esser diventata proprio per i nostri esteti, chi sa per quali ragioni, un articolo di fede volentieri professato, mentre, nel tempo stesso, non hanno imparato nulla dall’opposizione di fenomeno e di cosa in sé, oppure, per ragioni parimente ignote, nulla hanno voluto imparare.
Se abbiamo dimostrato con la nostra analisi che lo spirito apollineo nella tragedia ha, in virtù della sua illusione, riportato piena vittoria sull’elemento originario dionisiaco della musica, e che questa a sua volta ha giovato ai fini apollinei, vale a dire ha giovato a conferire al dramma