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la missione del mito | 185 |
morte, ma non morente, che esclama in un disperato singulto: «Desiderio! sospiro! Morendo io sospiro di non morire di desiderio!» E se prima il suono giubilante del corno in una tale sovrabbondanza e un tale eccesso di angosce divoranti ci spezzava il cuore come l’angoscia estrema, adesso invece tra noi e cotesto «giubilo in sé stesso» s’interpone l’esultante Kurwenal, rivolto alla nave che si porta Isotta. Pei quanto potentemente la compassione ci ricerchi l’anima, pure in un certo senso la compassione ci salva davanti al dolore primordiale del mondo, nello stesso modo come l’immagine allegorica del mito ci salva davanti all’intuizione immediata della suprema idea del mondo, e come ci salvano il pensiero e la parola davanti all illuvione irrefrenabile dell’inconscia volontà. In virtù di cotesta magnifica illusione apollinea ci sembra quasi, che lo stesso regno dei suoni ci mova incontro come un mondo plastico; ci sembra quasi, che in esso sia unicamente conformato ed effigiato ed impresso, come in una sostanza dolcissima e ubbidiente alla figura, il destino di Tristano e Isotta.
In tal guisa il senso apollineo ci strappa all universalità dionisiaca e c’invaghisce degl’individui: a questi vincola la nostra compassione, per mezzo di questi appaga il sentimento della bellezza, che anela alle grandi e sublimi forme: esso ci fa scorrere davanti le immagini della vita e c’invoglia a indagarne e intenderne col pensiero il nucleo vitale riposto. Mercè l’efficacia