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180 capitolo ventunesimo


è anche il principium individuationis, e che lo stato e il senso della patria non possono vivere senza l’affermazione della personalità individuale. Per uscire dall’orgiasmo un popolo ha una sola via, la via che mena al buddhismo indiano, il quale non è concepibile in genere nella sua anelanza al nulla, se non col concorso di quei singolari stati dell’animo che si eleva al disopra dello spazio, del tempo e dell’individualità: stati di animo, che a loro volta richiedono una filosofia, la quale insegni a superare con una idea l’indescrivibile disgusto degli stati intermedi. La medesima necessità spinge un popolo, mosso dall’assoluto valore degl’istinti politici, sulla via dell’estrema affermazione mondana e mondiale, la cui espressione più grandiosa, ma anche la più terribile, è il romanum imperium.

Situati tra l’India e Roma e spinti a una scelta seducente, riuscì ai greci di ricavare in classica purezza una terza forma, non certamente atta per lungo tempo a un vero uso, ma appunto per questo data all’immortalità. Giacché la morte precoce dei prediletti degli dèi ha riscontro, sì, in tutte le cose, ma è altrettanto certo, che essi poi vivono eternamente in seno agli dèi. Al più nobile di tutti non si domanda la durevole tenacità del cuoio: la compatta durabilità, quale fu propria, per esempio, dell’istinto nazionale romano, verosimilmente non fa parte dei predicati necessari della perfezione. Se però domandiamo quale farmaco rese possibile ai greci, nei loro grandi tempi e tra le forze straordinarie