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il recitativo 163


sicale dell’ascoltatore, è qualcosa di così completamente innaturale e così intimamente contraddittorio con gl’istinti artistici dello spirito dionisiaco del pari e dello spirito apollineo, che si è dovuto inferirne un’origine del recitativo, la quale non ha niente che vedere con nessun istinto artistico. Secondo che lo abbiamo descritto, bisogna definire il recitativo come un misto di espressione epica e di espressione lirica, ma un misto senza l’intima consistenza che tra elementi tanto disparati non è dato minimamente raggiungere, bensì un accozzamento affatto esteriore, a mosaico, quale non se ne ha il minimo esempio nel dominio della natura e dell’esperienza. Ma non era questa l’idea degl’inventori del recitativo; piuttosto essi medesimi, e con loro i contemporanei, credevano, che con lo stile rappresentativo fosse svelato alfine il segreto della musica antica, quel segreto, col solo ausilio del quale era lecito spiegare l’effetto portentoso di un Orfeo, di un Anfione, se non anche della stessa tragedia greca. Il nuovo stile era tenuto come la rievocazione della musica più effettuosa, dell’antica musica greca; anzi, data la concezione generale e tutta popolare del mondo omerico come mondo primitivo, era consentito abbandonarsi al sogno di un ritorno agli esordi paradisiaci dell’umanità, nei quali anche la musica fosse necessariamente dotata di quella insuperabile purezza e potenza e innocenza, di cui i poeti sapevano parlare in modo così commovente nei loro poemi pastorali. Proprio qui noi scorgiamo