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152 capitolo diciassettesimo


vale a dire o è uno stimolante pei nervi; insensibili e consunti, oppure è pittura musicale. Quanto alla prima, il testo che le è sottoposto importa appena: già lo stesso Euripide è affatto senza regola, se tocca principiare a cantare ai suoi eroi o ai suoi cori: e coi suoi impronti successori a qual segno si sarà arrivati?

Ma nell’epilogo del nuovo dramma si manifesta nel modo più evidente il nuovo spirito antidionisiaco. Nella tragedia antica si provava nella fine la consolazione metafisica, senza la quale non si spiegherebbe il diletto della tragedia in generale: forse l’Edipo a Colono è appunto la tragedia in cui risuona nel modo più ouro da un altro mondo l’armonia conciliatrice. Adesso, dopo che dalla tragedia lo spirito della musica si era involato, la tragedia, nel senso stretto, era morta; giacché donde mai poteva più cavarsi la consolazione metafisica? Si corse quindi in cerca di una soluzione terrena della dissonanza tragica: l’eroe, dopo che era stato sufficientemente martirizzato dal destino, mieteva in un magnifico matrimonio, in divine onoranze, il guiderdone ben meritato. L’eroe era divenuto come un gladiatore, al quale, dopo che era stato bravamente scorticato e cincischiato di ferite, si concedeva, per l’occasione, la libertà. Al posto della consolazione metafisica fu sostituito il deus ex machina. Non intendo dire, che la concezione tragica del mondo fosse dovunque e completamente distrutta dall’invadente spirito antidionisiaco: sappiamo solo, che, scacciata dal campo dell’arte, dové rifuggire, per dir così, nel