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148 capitolo diciassettesimo


fervide nature. Forse che un giorno non risalirà come arte fuori del suo abisso mistico?

Qui viene a occuparci la questione, se la potenza, sulla cui efficacia ostile la tragedia si ruppe, ha in tutti i tempi abbastanza forza per impedire la resurrezione della tragedia e della visione tragica del mondo. Se l’antica tragedia fu traviata fuori del suo cammino dall’istinto del sapere e dall’ottimismo della scienza, bisogna arguire da questo fatto una eterna contesa tra la concezione teoretica e la concezione tragica del mondo; né è lecito sperare in una rinascita della tragedia, prima che lo spirito della scienza sia condotto fino ai suoi confini, e con la prova di tali confini sia distrutta la sua pretesa alla validità universale: che è una forma di cultura, alla cui illustrazione abbiamo posto il simbolo, nel senso sopra discusso, del Socrate musicista. Similitudine, nella quale io per spirito della scienza intendo significare la fede, apparsa la prima volta con la persona di Socrate, nella piena ed esauriente intelligibilità della natura e nella universale virtù sanatrice del sapere.

Chi riflette sulle prossime conseguenze di questo spirito infaticabilmente progressivo della scienza, subito vede, che il mito ne rimase distrutto, e che da questa distruzione la poesia fu cacciata dal suo naturale terreno ideale come una, ormai, senza patria. Una volta che noi abbiamo a ragione attribuito alla musica la forza di risuscitare il mito, bisogna che cerchiamo lo spirito della scienza anche sulla strada in cui si