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138 capitolo sedicesimo


ellenico con uno sguardo così singolarmente mio proprio, da dovermi poi sembrare, che la nostra scienza classico-ellenica atteggiata a si orgogliosa impostatura, in sostanza sui punti capitali avesse finora saputo pascersi non d’altro che di ombre colorate ed esteriorità.

Cotesto problema originario potremmo forse riassumerlo con la domanda: Qual è l’effetto estetico che nasce, quando le facoltà artistiche separate del senso apollineo e del senso dionisiaco concorrono in un’azione l’una accanto all’altra? O più brevemente: Come si comporta la musica con l’immagine e col concetto? Schopenhauer, di cui Riccardo Wagner loda proprio su questo punto una chiarezza e una lucidità non troppo, a dir vero, eccessiva di esposizione, si esprime in proposito nel modo più ampio nel luogo seguente, che riporto integralmente: {Il mondo come v. e r., I, § 309) «In conseguenza di tutto ciò, noi possiamo considerare il mondo fenomenico, o natura, e la musica come due espressioni diverse della stessa cosa, la quale appunto per questo è la sola mediatrice della analogia delle due, ed è necessario conoscerla per intendere cotesta analogia. Perciò la musica, riguardata come espressione del mondo, è un linguaggio universale in sommo grado, il quale anzi sta all’universalità del concetto come l’universalità del concetto sta alle singole cose. Ma la sua universalità non ò affatto la vuota universalità dell’astrazione, bensì di natura tutta diversa, ed è legata a uua determinatezza più