Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
134 | capitolo quindicesimo |
Se ora contempliamo con lo sguardo rafforzato e riconfortato sui greci le supreme sfere del mondo che ci ondeggia d’intorno, verifichiamo che si è convertita in rassegnazione tragica e in esigenza artistica la brama dell’insaziabile conoscenza ottimistica, che ebbe a suo primo modello Socrate; laddove la stessa brama, nei suoi gradi inferiori, deve senza dubbio manifestarsi ostile all’arte, e principalmente aborrire nell’intimo l’arte dionisiaco-tragica, come prova l’esempio della lotta combattuta dal socratismo contro la tragedia eschilea.
E qui, con l’animo commosso, noi battiamo alle porte del presente e dell’avvenire: quella «conversione» condurrà a una configurazione sempre nuova del genio, e precisamente al Socrate musicista? La rete dell’arte stesa sull’esistenza, sia pure sotto il nome della religione o della scienza, sarà intrecciata sempre più salda e più soave, oppure in questo agitarsi e turbinare irrequieto e barbarico, che oggi si chiama «la modernità», è destinata a stracciarsi in sbrendoli? Impensieriti, ma non sconsolati, noi ci teniamo alquanto da parte, come spettatori a cui è permesso di essere testimoni di quelle contese e di quei trapassi prodigiosi. Ahi! Il fascino di tali contese è proprio questo, che chi le guarda deve cacciarvisi anch’esso!