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132 | capitolo quindicesimo |
nersi obbligato, figlio, a strozzare i genitori amico, l’amico, secondo che usano gli abitanti delle isole Figi: un pessimismo pratico, che avrebbe potuto ingenerare perfino l’orribile etica dell’eccidio dei popoli per compassione; e che, del resto, esiste ed è esistito da per tutto nel mondo, dovunque, cioè, non è apparsa l’arte in qualsiasi forma, specialmente nella forma di religione e di scienza, a far da rimedio e da difesa contro una tal peste.
Davanti a cotesto pessimismo pratico Socrate è il prototipo dell’ottimista teoretico, che, partendo dalla fede specifica nella penetrabilità della natura delle cose, attribuisce al sapere e alla conoscenza la virtù di una medicina universale e intende l’errore come male in sé stesso. L’uomo socratico giudicava come la più nobile, anzi come l’unica missione veramente umana il penetrare le cause supreme e liberare dall’apparenza sensibile e dall’errore la vera conoscenza; talché da Socrate in poi il meccanismo del concetto, del giudizio e dell’inferenza fu stimato superiore a tutte le altre facoltà, come l’efficienza suprema e il più meraviglioso dono della natura. Anche le più elevate azioni morali, i moti della compassione, del sacrifizio, dell’eroismo, e quella tranquillità dell’animo tanto diffìcile a raggiungere che il greco apollineo chiamava sofrosine, da Socrate e dai seguaci del suo pensiero fino ai giorni nostri furono dedotti dalla dialettica del sapere e per conseguenza designati come apprendibili. Chi ha sperimentato di persona il piacere della