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lo sfratto alla musica 125


coro, le cui fasi si susseguono con terribile rapidità in Euripide, Agatone e la commedia nuova. La dialettica ottimista caccia via con la sferza dei suoi sillogismi la musica dalla tragedia; vale a dire distrugge l’essenza della tragedia, la quale s’interpetra unicamente come una manifestazione e figurazione di stati d’anima dionisiaci, come la simbolizzazione visibile della musica, come il mondo di sogno di un’ebbrezza dionisiaca.

Anche ammessa, dunque, una tendenza antidionisiaca già in atto prima di Socrate, ma solo con lui arrivata a un’espressione inauditamente grandiosa, bisogna che non recediamo spaventati dal problema del significato che ha un tale fenomeno, quale è la comparsa di Socrate nel mondo greco; comparsa che, per quanto riguarda i dialoghi platonici, noi non siamo in grado di intendere soltanto come una potenza dissolvente e negativa. Ché, per quanto sia certo che l’effetto immediato della tendenza socratica riuscisse a una decomposizione della tragedia dionisiaca, pure una profonda esperienza di vita da parte dello stesso Socrate c’induce alla domanda, se tra il socratismo e l’arte corresse necessariamente non altro che un rapporto antipodico, e se il sorgere di un «Socrate artistico» in generale fosse poi davvero qualcosa di per sé stesso contraddittorio.

Vale a dire, davanti all’arte quel loico dispotico avvertiva come il senso di una lacuna, di un vuoto, come di un mezzo rimprovero, come di un dovere forse negletto. Sovente gli accadeva,