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il dialogo platonico | 123 |
secoli la stessa filosofia tenne davanti alla teologia, cioè nel posto di ancilla. Tale era la posizione in cui sotto la spinta del demonico Socrate Platone ridusse la poesia.
Così il pensiero filosofico soverchia l’arte col suo rigoglio, e la costringe ad abbarbicarsi al tronco della dialettica. La tendenza apollinea si è trasformata nello schematismo logico: abbiamo già riscontrato qualcosa di corrispondente in Euripide, oltre il trasferimento del senso dionisiaco in affetto naturalistico. Socrate, che è l’eroe dialettico del dramma platonico, ci rammenta la natura affine dell’eroe euripideo, che è costretto a giustificare i suoi atti con ragioni e controragioni, e perciò troppo spesso rischia di farci perdere ogni compartecipazione tragica. Giacché, chi potrebbe disconoscere nell’essenza della dialettica l’elemento ottimistico, che in ogni conclusione celebra la sua festa gaudiosa, e non trova respiro altrove che nella fredda chiarezza e consapevolezza? È l’elemento ottimistico che, una volta penetrato nella tragedia, deve sommergere a poco a poco le sue regioni dionisiache e condurla di necessità all’annientamento, fino al salto mortale nel dramma borghese. Teniamo presenti non altro che le semplici conseguenze dei principii socratici: «La virtù è sapienza: si pecca solamente per ignoranza: il virtuoso è felice»: in queste tre forme fondamentali dell’ottimismo è implicita la morte della tragedia. Giacché appunto in questo modo l’eroe virtuoso dev’essere dialettico; appunto in questo modo un legame ne-