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118 capitolo tredicesimo


Socrate. Nelle singolari situazioni in cui il Suo intelletto enorme vacillava, egli riprendeva l’equilibrio in virtù di una voce divina che gli si manifestava in tali momenti. Cotesta voce, quando viene, è sempre dissuadente. In siffatta natura interamente abnorme, la saggezza istintiva si mostra solo per farsi incontro eventualmente alla conoscenza consapevole, come inibizione. Laddove in tutti gli uomini produttivi proprio l’istinto è la forza creativo-affermativa e la coscienza si rivela critica e infrenatrice, invece in Socrate il critico è l’istinto e il creatore è la coscienza: una vera mostruosità per defectum! Se infatti noi in ogni disposizione mistica ammettiamo un mostruoso defectus, bisogna designare Socrate come lo specifico non-mistico, nel quale la natura logica è, per superfetazione, tanto eccessivamente sviluppata, quanto è nel mistico la sapienza istintiva. D’altra parte, però, a cotesto istinto logico che appare in Socrate era completamente interdetto di ritornare sopra sé stesso: egli in questo sfrenato prorompimento mostra una veemenza naturale, quale la incontriamo, con nostro stupore e raccapriccio, nelle massime forze dell’istinto. Chi negli scritti platonici ha colto non più che un alito di quella divina semplicità e sicurezza del costume di vita socratico, sente anche, che la portentosa ruota istintiva del socratismo logico è in movimento, per così dire, alle spalle di Socrate, e che bisogna considerarla attraverso Socrate come attraverso un’ombra. Ma che di questa situazione