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prefazione del traduttore | xxi |
È superfluo rilevare, che il giovine Nietzsche, oltre che ignorare affatto la Scienza Nuova del Vico, non tiene conto dello svolgimento successivo del pensiero kantiano nelle Critiche posteriori, né di Fichte e tanto meno di Hegel: per scienza egli intende esclusivamente le scienze astratte e le empiriche; cioè precisamente quelle, che si capisce bene che non possono darci la cognizione dell’essenza delle cose, perché o vertono, come le matematiche, su astrazioni del nostro intelletto, in cui non c’è altro da fare che rinvenire i rapporti quantitativi, oppure sui fenomeni naturali, la cui conoscenza si riduce tutta alla classificazione condotta secondo l’ingenito principio meccanico di causalità. La situazione perciò sarebbe disperata; l’«in sé» delle cose, l’Uno primigenio autore del cosmo, il noumeno kantiano nascosto dietro il fenomeno sarebbe un enimma insolubile per la scienza, che nella sua forma socratica e alessandrina e culturale si crede, conoscendo i fenomeni e la loro concatenazione, di aver conosciuto tutto il conoscibile, se non venisse Schopenhauer a svelarci cotesto Uno primigenio, cotesto «in sé», e a svelarci il modo come ci si rivela. L’Uno primigenio è il Wille, la volontà creatrice del mondo dei fenomeni, e la voce con cui ci parla e ci si rivela, perché sale direttamente dal cuore dell’Uno primigenio, dal cuore della Volontà universale, è la musica.
Figuriamoci un uomo, che sia un pittore nato, che abbia nell’animo il senso del colore, che