Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Capitolo XIII.
All’antichità contemporanea non sfuggi la stretta affinità di tendenza che legava Socrate ad Euripide; e l’espressione più eloquente di cotesto sentore indovino è la diceria diffusa in Atene, che Socrate solesse dare una mano ad Euripide nel poetare. I due nomi venivano pronunziati insieme dai partigiani del «buon tempo antico», quando si trattava di mentovare i sodduttori del popolo: dipendeva dalla loro influenza, se l’antica quadrata gagliardia maratonia del corpo e dell’anima, col continuato snervamento delle forze corporee e spirituali, era sacrificata a una cultura sempre più scettica. In siffatto tono, metà di sdegno, metà di sprezzo, la commedia aristofanesca usa parlare di quegli uomini, con grande scandalo dei giovani, che in verità avrebbero pure buttato a mare Euripide, ma che non arrivavano a stupirsi abbastanza, come mai Aristofane potesse presentare Socrate pel primo e sovrano sofista, per lo specchio e il compendio di tutti gli arzigogoli sofistici: contro di che una sola consolazione rimaneva; ed era di mettere alla berlina lo stesso Aristofane come un dissoluto e bugiardo Alcibiade della poesia. Senza fermarmi a questo punto a difendere da tali contrattacchi i profondi istinti di Aristofane,