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il socratismo estetico 111


ampio e possente. Tutto era predisposto pel pathos, non per l’azione; ciò che non predisponeva gli spettatori al pathos, valeva come rifiutabile. Il fatto che massimamente trattiene lo spettatore dall’abbandonarsi con tutto l’animo al piacere di tali scene, è la mancanza di un elemento integrante, la lacuna nel tessuto dei precedenti avvenimenti: fintanto che lo spettatore deve ancora rendersi conto di ciò che significa questo o quel personaggio, di quali sono i presupposti di questo o quel conflitto d’inclinazioni e d’intenzioni, non è ancora possibile la sua piena partecipazione al soffrire e adoperare dei protagonisti, non è possibile il patire con loro affannosamente, il provare con loro la paura e lo spavento. La tragedia di Eschilo e di Sofocle impiegò i mezzi artistici più ingegnosi per porre fin dalle prime scene nelle mani dello spettatore, ma incidentemente e, per così dire, senza parere, tutti i fili indispensabili all’intelligenza dell’azione: genialità espeditiva, in cui si affermò quel nobile magistero artistico, che maschera la parte formale che s’impone come necessaria, e la fa sembrare accidentale. Tuttavia Euripide credé di notare, che durante quelle prime scene lo spettatore venisse in preda alla speciale impazienza di arguire dai fatti antecedenti i conseguenti, in modo che le bellezze poetiche e il pathos dell’esposizione andavano perdute per lui. Perciò all’esposizione prepose il prologo, e lo mise in bocca a un personaggio a cui bisognava prestar fede; vale a dire in bocca a una divi-