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il nuovo demone 107


una potenza demonica che parlava per bocca di Euripide. Lo stesso Euripide, in un certo senso, era una mera maschera; la divinità che parlava per sua bocca non era Dioniso, ma nemmeno era Apollo, sibbene un demone di fresco nato per nome Socrate. Tale era il nuovo contrasto: l’istinto dionisiaco e la mentalità socratica, per cui effetto l’opera d’arte della tragedia greca andò in perdizione. Potè bene Euripide, ricredendosi, cercare di consolarcene; non gli venne fatto. Il più magnifico dei templi giacque nelle sue rovine: che ci giova la lamentazione del distruttore e la sua confessione, che quello era stato il più bello di tutti i templi? E anche se Euripide per la pena inflittagli dai giudici d’arte di tutti i tempi è stato mutato in serpente, ebbene, cotesto pietoso compenso chi mai riesce a contentare?

E ora guardiamo da vicino cotesta tendenza socratica, in virtù della quale Euripide ha combattuta e vinta la tragedia eschilea.

Quale scopo in generale, dobbiamo adesso domandarci, l’intenzione euripidea di fondare il dramma esclusivamente sullo spirito non dionisiaco poteva prefiggersi nella suprema idealità della sua esecuzione? Quale forma del dramma era tuttora ammissibile, se le era precluso di nascere dal seno materno della musica, nel misterioso crepuscolo dell’istinto dionisiaco? Non altra, che l’epos drammatizzato: che è un dominio artistico apollineo, nel quale per altro non è certamente dato raggiungere l’effetto tragico. Qui