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i due spettatori 103


mento promettitore di vittoria, ogniqualvolta si vedeva novellamente condannato dal tribunale del pubblico.

Di questi due spettatori l’uno è lo stesso Euripide, Euripide come pensatore, non come poeta. Di lui potrebbe dirsi, che lo straordinario rigoglio del suo talento critico ha, del pari che come in Lessing, se non generato, pure continuamente fecondato un istinto suppletivo produttivamente artistico. Con questa qualità, con tutta la chiaroveggenza e l’agilità della sua mente critica, Euripide si era seduto a teatro e si era sforzato di raffigurare e riconoscere tratto su tratto, linea su linea, come sopra pitture incupite dal tempo, la consistenza dei capolavori dei suoi grandi antesignani. E qui gl’incontrò quello che non deve riuscire inatteso agl’iniziati nei più profondi segreti della tragedia eschilea: egli riscontrò qualcosa d’incommensurabile in ogni tratto e in ogni linea, una certa precisione ingannevole e, insieme, una profondità enimmatica, che dico? l’infinità dello sfondo. La figura più lucida aveva sempre alle spalle come una coda di cometa, che pareva far segno ad alcunché di ambiguo, ad alcunché dove la luce non arrivava. Lo stesso lume malcerto copriva la struttura del dramma, principalmente la significazione del coro. E come rimase ambigua per lui la soluzione dei problemi etici! Come problematica la trattazione dei miti! Come sproporzionata l’assegnazione della felicità e dell’infelicità! Perfino del linguaggio della tragedia antica molto gli riu-