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102 | capitolo undicesimo |
approfondiamo l’intendimento della sua tendenza. È, all’incontro, universalmente noto, che Eschilo e Sofocle, finché vissero e anche dopo, furono pienamente padroni del favore del pubblico, e che rispetto a questi predecessori di Euripide non è minimamente a parlarsi di una sproporzione tra l’opera d’arte e l’intelligenza del pubblico. Un artista ricco di tante doti e così infaticabilmente premuto alla creazione, da che cosa mai fu forviato oltre i termini della strada antica, sulla quale splendevano come soli i nomi dei massimi poeti e l’incorrotto cielo del favore popolare? Quale singolare riguardo allo spettatore lo pose contro lo spettatore? Come mai, per una più alta stima del suo pubblico, potè egli disistimare il pubblico?
Come poeta, Euripide, ecco la soluzione dell’enimma ora posto, si senti ben al disopra della folla, ma non al disopra di due tra i suoi spettatori: trasportò la folla sulla scena, ma solo quei due spettatori stimò competenti giudici e maestri di tutta la sua arte. Seguendo i loro ammaestramenti e ammonimenti, trasferì tutto quanto il mondo di sentimenti, di passioni, di esperienze, che finora a ogni rappresentazione avevano occupato come un coro invisibile la cavea degli spettatori, nell’anima dei suoi eroi scenici; si conformò alle loro esigenze quando per cotesti nuovi caratteri ricercò anche la parola nuova e la nuova armonia, e nelle loro voci udiva unicamente le sentenze favorevoli alla sua creazione, come unicamente udiva l’incoraggia-