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Capitolo XI.

La fine tragica della tragedia. — Euripide. Lo spettatore sulla scena. — La serenità dello schiavo. — Euripide e il pubblico.— I due spettatori. — Il secondo spettatore.

La tragedia greca si spense iu modo diverso che non tutte le altre forme consorelle di arte di età più antica: morì di suicidio, in conseguenza di un conflitto insolubile: perì dunque tragicamente, laddove quelle altre si estinsero della morte più bella e tranquilla, ben avanti negli anni. Se, cioè, è proprio di un felice stato naturale il separarsi dalla vita senza spasimo e lasciandosi dietro una bella posterità, proprio quel felice stato ci mostra la fine dei generi d’arte più antichi: i quali si spengono lentamente, e davanti ai loro occhi morenti è già sorta una più bella fìgliuolanza, che in atto ardito alza il capo impaziente. Per contro, con la fine della tragedia greca si aprì un vuoto enorme, sentito dovunque profondamente; e come una volta ai tempi di Tiberio i naviganti greci udirono salire da un’isola solitaria un grido di sgomento: «il gran Pan è morto!», così ora un suono di cordoglio echeggiò pel mondo ellenico: «la tragedia è morta! Con lei la stessa poesia è andata perduta! Via, via di qui, o epigoni slombati e smilzi! Andate giù all’Ade, per potervi saziare almeno con le briciole dei maestri di una volta!».

Purtroppo, quando venne in fiore un nuovo