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94 capitolo decimo


i presupposti mistici di una religione, esaminati dall’occhio rigido e critico di undommatismo ortodosso, vengono sistematizzati come una somma completa di avvenimenti storici; quando si principia perciò a difendere affannosamente la credibilità dei miti, ma si ripugna a ogni loro naturale crescimelito e sviluppo; quando dunque il sentimento del mito si estingue, e ne prende il posto la pretesa della religione a far valere le sue basi storiche. Ed ecco che il genio neonato della musica afferra il mito moribondo; e nella sua mano esso rifiorisce, e rifiorisce con colori che non ha mai mostrato, con un profumo che suscita il presentimento di un mondo metafisico. Dopo quest’ultimo risplendimento esso cade, le sue foglie appassiscono, e i beffardi Luciani dell’antichità si affrettano a ghermire i fiori sbattuti da tutti i venti, scoloriti e aridi. Con la tragedia il mito viene al suo contenuto più profondo, alla sua forma più finitamente espressiva: esso si risolleva ancora una volta, come un eroe ferito, e tutta la forza che gli rimane, insieme con la pacatezza piena di sapienza del moribondo, gli accende negli occhi il lume estremo, potente.

Che cosa volevi, o sacrilego Euripide, quando cercasti di piegare ai tuoi servigi questo moribondo? Tra le tue mani gagliarde esso peri; e allora adoperasti un mito contraffatto, mascherato, che come la scimmia d’Ercole sapesse solamente adornarsi della clamide antica. E come ti morì tra mani il mito, ti morì anche il genio