Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
92 | capitolo decimo |
questo terzo Dioniso inneggiava strepitoso il cantico di giubilo degli epopti. E solo questa speranza spande un raggio di allegrezza sulla faccia del mondo dilaniato, rotto in individui: così lo configura il mito con l’immagine di Demetra immersa in eterna afflizione, la quale per la prima volta ritorna lieta, quando le vien detto che può di nuovo partorire Dioniso. Nelle considerazioni addotte abbiamo già tutti gli elementi di una profonda e pessimistica concezione del mondo, e perciò anche la dottrina dei misteri della tragedia: abbiamo cioè la teoria fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste, il criterio che giudièa l’individuazione come la cagione originale del male, l’arte come lieta speranza che il corso dell’individuazione sia rotto, come presentimento di una restaurazione dell’unità.
Poc’anzi si è mostrato, che l’epos omerico è il poema della civiltà olimpica, col quale essa ha cantato il suo inno di vittoria sul terrore della titanomachia. Adesso, sotto l’influenza soverchiante della poesia tragica, i miti omerici rinascono trasfigurati, e in questa metempsicosi mostrano che nel frattempo la civiltà olimpica è stata vinta da una più profonda concezione del mondo. L’altero titano Prometeo ha annunziato al suo tormentatore olimpico, che un supremo pericolo minacciava la sua dominazione, se al momento opportuno non si alleava con lui. In Eschilo apprendiamo l’alleanza del titano con Giove spaventato, trepidante per la propria fine.