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82 capitolo nono


pria perdizione: il godimento schiettamente ellenico per tale soluzione dialettica è tanto grande, che un raggio di serenità superiore ridonda su tutta l’opera, e spiana dovunque le punte ripugnanti degli orrori che hanno preceduto il processo. La stessa serenità incontriamo nello «Edipo a Colono», ma trasfigurata nell’altezza di una luce infinita: di contro al vegliardo soverchiato dall’eccesso della miseria, e che cade in preda a tutto ciò che lo soverchia non altrimenti che come paziente, si spande la serenità oltramondana irradiata della sfera divina, la quale ci significa che l’eroe col suo contegno passivo ha raggiunto la suprema attività, che serberà una lunga efficacia sulla sua vita, laddove il suo conscio e voluto sforzarsi e travagliarsi nel corso precedente della sua esistenza non lo ha condotto ad altro che alla passività. In tal modo si viene lentamente distrigando il groviglio della favola di Edipo che all’occhio mortale sembrava insolubile, e da questa divina contfascena della dialettica è suscitata in noi la più profonda allegrezza umana. Resa giustizia, con questa spiegazione, al poeta, possiamo però tuttora domandarci, se con ciò il contenuto del mito è risolto interamente; e qui risulta chiaro, che tutta la concezione del poeta non è altro che quell’immagine luminosa che a noi riserva la natura risanatrice, dopo che abbiamo guardato nel tetro fondo. Edipo, l’uccisore di suo padre, il marito di sua madre, Edipo, il solutore dell’enigma della sfinge: che cosa ci