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l’apparizione del dio 79


riamente trasferiva su quella figura mascherata l’immagine del dio che col suo incanto magico gli teneva l’anima tutta tremante, e risolveva, per così dire, in una irrealtà immaginativa la sua realtà. Ed è questo lo stato apollineo di sogno, nel quale il mondo quotidiano viene a velarsi, e davanti ai nostri occhi, in continua vicenda, nasce un nuovo mondo più evidente, più intelligibile, più comprensibile di quello, eppure più simile ad ombra. Ragion per cui nella tragedia riscontriamo un energico contrasto di stile: lingua, colore, movimento, dinamica della parola, da una parte, nella lirica dionisiaca del coro, e, dall’altra, nel mondo di sogno apollineo della scena, appaiono come sfere di espressione completamente separate l’una dall’altra. Le apparizioni apollinee, nelle quali Dioniso si obiettiva, non sono più «un mare eterno, un instabile cangiamento, una vita ardente», come è la musica del coro; non sono più quelle forze meramente sentite e non chiarificate nell’immagine poetica, nelle quali il servente entusiasmato di Dioniso presente la vicinanza del dio: adesso gli parla dalla scena l’evidenza e la solidità della figura epica; adesso Dioniso parla non più per mezzo delle forze di un sentimento non discriminato, ma parla come un eroe epico, quasi col linguaggio di Omero.